Nome d'arte di Norma Jean Baker, attrice statunitense. È l'ultima grande star di Hollywood e uno dei suoi sex-symbol più duraturi. Figlia illegittima, cresciuta in orfanotrofi, sin da piccola insegue con tutte le sue forze quel mito della «grande attrice» che alla soglia dei trent'anni incarna trionfalmente, ma soltanto per scoprirne la deludente e pericolosa inconsistenza. Dapprima modella fotografica di terz'ordine e goffa attricetta (Dangerous Years, 1947), si trasforma, nel giro di pochi anni, in ammaliante regina dello schermo, passando da qualche breve ma significativa apparizione (Giungla d'asfalto di J. Huston, e Eva contro Eva di J.L. Mankiewicz, entrambi del 1950) alle impegnative prove drammatiche di Niagara (1953) di H. Hathaway e La magnifica preda (1954) di O. Preminger e alle deliziose, sofisticate interpretazioni di Gli uomini preferiscono le bionde di H. Hawks, Come sposare un milionario di J. Negulesco, entrambi nel 1953, e Quando la moglie è in vacanza (1955) di B. Wilder. Dopo la crisi profonda che la porta al divorzio dal campione di baseball J. Di Maggio, all'iscrizione all'Actor's Studio e al frenetico tentativo di «farsi una cultura» sotto la guida del commediografo A. Miller (poi suo marito), interpreta Fermata d'autobus (1956) di J. Logan e, con L. Olivier, lo sfortunato Il principe e la ballerina (1957) dello stesso Olivier. Attrice di trascurate possibilità, splendida nelle commedie a sfondo amarognolo (come dimostrano, tra l'altro, A qualcuno piace caldo, 1959, di B. Wilder, e Gli spostati, 1961, di J. Huston), la M. ha rivestito un ruolo di primissimo piano nella storia del costume, non soltanto per aver incantato, con il suo fascino, milioni di spettatori, ma per aver liquidato definitivamente il mito hollywoodiano della vamp sostituendolo con un erotismo spiritoso e candido. Poco dopo aver divorziato da Miller, e proprio quando le riprese di un nuovo film (Something's Got to Give, Qualcosa da dare, di G. Cukor) sembravano prepararle un grande rilancio professionale, muore in circostanze oscure, forse suicida. La sua tragica scomparsa segna uno shock per lo star system hollywoodiano, che perde lucentezza e credibilità e si avvita su sé stesso, incapace di tornare ai fasti che proprio la M. aveva incarnato ai massimi livelli. «Clonata» da A. Warhol e continuamente evocata in decine di omaggi e citazioni (da La signora in rosso di G. Wilder a Pulp Fiction di Q. Tarantino), resta il sex-symbol insuperato dell'età aurea della storia del cinema.